DOTT. PIERO CUCUGLIATO
L’Uomo nell’Era Digitale:

Tra Progresso Incontrollato e Rischio di Alienazione.
Senza difesa?

Trattamento qi gong

2025 06 21
Dott. Piero Cucugliato,
Medico. Esperto in Agopuntura
Tradizionale. Insegnante di Qì
Gōng Medico
+39 3400835635
pierocuc@gmail.com

La rivoluzione digitale e l’ascesa dell’Intelligenza Artificiale stanno ridefinendo l’esistenza umana a una velocità senza precedenti. Se, da un lato, i benefici di queste tecnologie sono amplificati dai media e dalle narrazioni dominanti, dall’altro, i danni alla salute fisica, mentale e sociale rimangono sistematicamente sottovalutati. Questo contributo intende evidenziare come l’accelerazione tecnologica, priva di adeguati controlli, stia generando un’epidemia silenziosa di alienazione, con conseguenze già misurabili a livello neurologico, comportamentale ed evolutivo.

Il transumanesimo e l’integrazione uomo-macchina promettono un futuro di potenziamento cognitivo e fisico, ma nascondono un paradosso: più la tecnologia avanza, più l’essere umano rischia di perdere contatto con la propria essenza, cioè, di allontanarsi da se stesso. Le architetture digitali, progettate per massimizzare la dipendenza (“engagement” si dice in termine tecnico, forse perché sembra meno brutto), sfruttano vulnerabilità neurobiologiche attraverso meccanismi di ricompensa variabile, innescando dipendenze comportamentali con effetti cerebrali paragonabili a quelli delle sostanze stupefacenti. Studi di neuroimaging dimostrano alterazioni nella connettività della corteccia prefrontale, area critica per il controllo decisionale e la regolazione emotiva (1)(2). Eppure, nonostante l’evidenza scientifica, mancano normative globali in grado di contrastare il “brain hacking” (anche questo inglesismo sembra meno brutto del nostro “lavaggio del cervello”!) orchestrato dalle piattaforme digitali.

Parallelamente, l’iperconnessione sta erodendo capacità umane fondamentali: l’attenzione profonda, la memoria a lungo termine e l’empatia fisica. Si tratta di un cambiamento non solo individuale, ma collettivo: una società che privilegia la velocità sulla riflessione rischia di perdere la capacità di pensiero critico e di adattamento resiliente.

I danni neurologici e psicologici dell’abuso tecnologico sono già misurabili, ma la risposta istituzionale rimane frammentaria. Uno studio norvegese ha rilevato che l’esposizione cronica a stimoli digitali frammentati ha portato a una riduzione del QI medio nelle generazioni più esposte al multitasking digitale (3). Uno studio negli USA ha registrato un aumento del 53% nei casi di depressione giovanile dal 2010, con un’evidente correlazione con l’uso massiccio dei social media (4).

Il concetto di frammentazione cognitiva è una descrizione calzante degli effetti dell’uso eccessivo di tecnologia e IA. Questa dispersione dell’attenzione, la riduzione della capacità di concentrazione e la diminuzione della consapevolezza del momento presente sono documentate da diverse ricerche.

L’iperconnessione e il multitasking digitale sono associati a una riduzione della capacità di attenzione sostenuta (5). La costante esposizione a stimoli nuovi e interruzioni (notifiche, pop-up) addestra il cervello a una modalità di attenzione superficiale e reattiva, a scapito della concentrazione profonda necessaria per compiti complessi. Questo pu  portare a un deterioramento delle funzioni esecutive (6).

L’affidamento eccessivo a “memorie esterne” digitali (smartphone, cloud) è un fenomeno noto come “amnesia digitale” o “effetto Google” (7). Poiché la capacità di accesso alle informazioni è immediata, la dipendenza da questi strumenti pu  compromettere lo sviluppo e l’uso della memoria a lungo termine e della memoria di lavoro (8). Non si memorizza più l’informazione, ma si memorizza “dove” trovarla, alterando i processi cognitivi.

L’esposizione continua a stimoli digitali, in particolare sui social media, pu  aumentare i livelli di stress, ansia e persino depressione. La paura di perdersi qualcosa (“Fear of Missing Out”- FoMO), il confronto sociale distorto, il cyberbullismo e la pressione per mantenere un’immagine online idealizzata contribuiscono a un carico emotivo significativo (9)(10).

Le interazioni virtuali, pur potendo connettere persone a distanza, spesso non riescono a sostituire la profondità e la ricchezza delle interazioni in presenza, nelle quali anche la comunicazione energetica gioca un ruolo fondamentale. La mancanza di segnali non verbali (linguaggio del corpo, tono di voce, contatto visivo) pu  portare a una riduzione della qualità delle relazioni interpersonali e a una diminuzione dell’empatia (11).

Anche a livello evolutivo, le conseguenze potrebbero essere irreversibili. L’adattamento passivo a un ambiente iperstimolante potrebbe selezionare tratti disfunzionali, come una ridotta tolleranza alla frustrazione o una dipendenza patologica dalla gratificazione immediata, ma anche strutture cerebrali modificate potrebbero evolvere da alterazioni epigenetiche a variazioni strutturali/ genetiche. Tuttavia, mentre si investono miliardi nello sviluppo di nuove AI, quasi nessuna risorsa è dedicata a studiare gli effetti transgenerazionali dell’iperconnessione.

L’era digitale ha modificato altresì radicalmente le dinamiche sociali, spesso esacerbando tensioni preesistenti.

Sebbene la tecnologia possa connettere, un suo uso eccessivo è correlato a una riduzione delle interazioni in presenza, e ad un aumento del rischio di solitudine (12) e di isolamento sociale, specialmente tra i giovani e gli anziani. La minore interazione diretta e l’anonimato online possono effettivamente compromettere la capacità di empatia (13), poiché si riducono le opportunità di interpretare sfumature emotive e di confrontarsi con prospettive diverse in modo diretto e umano, grazie alla percezione multisensoriale.

Gli algoritmi dei social media e delle piattaforme di ricerca, progettati per massimizzare la fidelizzazione, creano “bolle di filtraggio” e “camere dell’eco” (14). Gli utenti sono esposti prevalentemente a contenuti che confermano le loro opinioni preesistenti, limitando l’esposizione a punti di vista diversi e alimentando la polarizzazione culturale, sociale e politica. L’abbondanza e la velocità di diffusione di informazioni false o manipolate contribuiscono a malintesi, sfiducia e conflitti sociali, rendendo difficile distinguere la verità dalla finzione (15).

Le piattaforme social promuovono un confronto sociale continuo, spesso con distorsioni o idealizzazioni della realtà altrui (16). Questo pu  aumentare il rischio di ansia, depressione e insoddisfazione corporea, specialmente tra gli adolescenti. La possibilità di sfruttare l’anonimato, la distanza fisica e la diffusione immediata dei contenuti favoriscono comportamenti aggressivi come il cyberbullismo (17), con gravi conseguenze psicologiche per le vittime e un aggravamento delle tensioni sociali.

I minori, essendo in una fase cruciale di sviluppo cognitivo, emotivo e sociale, sono particolarmente vulnerabili agli impatti negativi dell’abuso tecnologico. Le giovani generazioni sono le più esposte, poiché il loro sviluppo cognitivo ed emotivo avviene in un ambiente saturo di stimoli digitali ben orientati da “IC” (intelligenze commerciali).

Ricerche pediatriche dimostrano che l’esposizione precoce agli schermi (soprattutto sotto i due anni) è associata a ritardi nell’acquisizione del linguaggio e a deficit dell’attenzione (18). L’uso eccessivo di dispositivi digitali e la costante esposizione a stimoli rapidi e frammentati possono compromettere lo sviluppo della capacità di attenzione sostenuta e di autoregolazione (19), aumentando il rischio di disturbi dell’attenzione e difficoltà di apprendimento. La ricerca costante di stimoli nuovi e gratificazioni immediate pu  portare a una ridotta tolleranza alla monotonia, alla noia e alla frustrazione, elementi essenziali per lo sviluppo della resilienza e delle capacità di problem-solving.

L’esposizione a giochi e video violenti è un fattore di rischio per l’aumento della propensione all’aggressività nei minori, sebbene la relazione sia complessa e multifattoriale (20), inoltre, pu  portare a una desensibilizzazione emotiva, riducendo la capacità di empatia e la reazione di fronte alla sofferenza altrui (21).

L’eccessiva interazione virtuale a discapito di quella fisica pu  compromettere lo sviluppo di competenze sociali fondamentali, come la comunicazione non verbale, la capacità di leggere le espressioni facciali e il linguaggio del corpo, cruciali per relazioni sane (11), mentre la mancanza di interazioni fisiche profonde pu  portare a una ridotta capacità di connessione emotiva e a una difficoltà nel costruire legami significativi e autentici.

I minori sono particolarmente suscettibili allo sviluppo di comportamenti compulsivi legati all’uso di internet, smartphone e videogiochi. Le piattaforme dedicate ai bambini utilizzano algoritmi ancora più persuasivi di quelli per adulti, sfruttando meccanismi di ricompensa che inducono dipendenza precoce (22). Questo pu  compromettere seriamente la qualità della vita, le performance scolastiche e le relazioni familiari (23), oltre alla salute energetica, mentale, affettiva e preparare, quindi, il terreno per lo sviluppo della malattia cronica. Tra l’altro, l’iperconnessione porta spesso a una riduzione drastica del tempo dedicato ad attività fisiche, ludiche all’aperto e sport, con conseguenze negative sulla salute fisica (obesità, sedentarietà) e mentale (aumento di stress e ansia dovuti alla mancanza di sfogo) (24).

Mentre i vantaggi dell’IA e della tecnologia sono celebrati con toni trionfalistici, i rischi ricevono una copertura marginale e spesso superficiale. Questa asimmetria non è casuale: il 90% degli studi che esaltano i benefici dei social media è finanziato dall’industria tech, creando un conflitto d’interessi che distorce la letteratura scientifica (25). Inoltre, vige un bias culturale (il termine “pregiudizio” sarebbe indicato, ma, detto in inglese, non suscita una “presa di distanza” reattiva nel lettore!) per cui il progresso tecnologico è automaticamente considerato positivo, un retaggio dell’ottimismo post-industriale che ignora le lezioni di crisi passate, come quella climatica, nata proprio dall’assenza di valutazioni preventive.

Il risultato è un’accelerazione tecnologica senza freni, in cui ogni nuova innovazione viene lanciata sul mercato prima che se ne possano valutare gli effetti a lungo termine. I social media, ad esempio, esistono da due decenni, ma solo ora stiamo comprendendo appieno il loro impatto devastante sulla salute mentale, sulla polarizzazione politica e sulla qualità delle relazioni umane. La risposta al problema è subordinata alla attesa della dimostrazione scientifica dell’esistenza del problema stesso. Tutto questo genera la sensazione di una “guerra di retroguardia” particolarmente acuta contro danni sicuri, ma ancora sconosciuti, mentre la tecnologia avanza a ritmi vertiginosi: le soluzioni tendono a essere reattive anziché preventive. Questo è dovuto alla rapidità esponenziale dello sviluppo tecnologico che supera sia la capacità della ricerca scientifica di comprenderne a fondo gli impatti a lungo termine, sia la capacità della società di adattarsi e/o di legiferare in modo proattivo. Questo gap temporale è una delle maggiori sfide del nostro secolo, anzi, di oggi, ma solo perché ieri è già passato.

Per evitare che questa deriva diventi irreversibile, è necessario un cambio di paradigma.

A livello di politiche globali, in primo luogo, occorre istituire studi indipendenti pre-market, simili a quelli richiesti per i farmaci, per valutare l’impatto psicosociale di ogni nuova tecnologia prima della sua diffusione (ma questo è pura illusione nel modello attuale di società governata dal commercio). In secondo luogo, andrebbe introdotta una tassa sulla pubblicità delle aziende, i cui proventi potrebbero finanziare ricerca e programmi di riabilitazione per le dipendenze digitali (ma si tratterebbe di tentare di rimediare al danno già fatto). Infine, è essenziale riequilibrare il dibattito pubblico, obbligando i media a dedicare pari spazio a rischi e benefici. Ma gli effetti di queste politiche globali arriverebbe sicuramente troppo tardi rispetto alla velocità del cambiamento tecnologico…. Immediatamente, si potrebbero, invece e con relativa facilità, implementare pratiche di gruppo, ma, molto meglio, personalizzate, di autocoscienza, pratiche che riportino l’uomo verso se stesso e lo accompagnino nello sviluppo della sua relazione con la tecnologia e con l’ “AI” (Altra Intelligenza). Molto presto dovremo confrontarci nella vita quotidiana con programmi di AI con capacità riflessiva, pensiero autonomo e capacità decisionale autonoma, rivestita di pelle umana generata in laboratorio, con modalità espressive fisiche e verbali emotivamente caratterizzate, con una conoscenza e una capacità operativa limitate solo dalla connessione internet!!!!! Cosa sarà di noi? Come reagiremo?

Il futuro è qui, è ora, è adesso, e ci stordisce! Non facciamo in tempo a pensarlo che qualcuno lo ha già realizzato!

Su cosa possiamo fare affidamento che ci aiuti a sostenere questo impatto con una realtà che ci sovrasta? fino ad oggi siamo stati noi a modificare l’ambiente che ci ha generato, ora è l’ambiente che abbiamo generato che ci sta modificando!

I vecchi Percorsi Sapienziali, nascosti in ogni tradizione spirituale, in ogni cultura antica, nell’anima di ogni popolo, hanno mantenuto intatta nel corso dei millenni la Via verso la conoscenza di se stessi e della realtà. Questi strumenti possono fornire agli individui la capacità intrinseca di gestire lo stress, mantenere la concentrazione, coltivare la consapevolezza del presente e rafforzare la propria resilienza e la capacità di adattamento. Aiutare le persone a connettersi con la propria dimensione interiore e a sviluppare strumenti di auto-monitoraggio e auto-gestione pu  essere l’unica chiave per tentare di prevenire l’alienazione e per navigare in un mondo sempre più saturo di stimoli digitali.

Oggi più che mai le millenarie Tradizioni Sapienziali possono aiutare l’uomo a salvarsi dall’oblio definitivo di se stesso!

La prevenzione dei rischi cognitivi ed emotivi derivanti dall’uso pervasivo delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale non pu  essere più solamente una rincorsa ai problemi dimostrati già esistenti, deve diventare un’azione proattiva che equipaggia gli individui con gli strumenti interni per navigare la complessità esterna, rafforzando la loro autonomia e il loro benessere integrale.

Post scriptum

Quanto sopra nella certezza che i pensieri, parole ed opere dei proprietari, sviluppatori e fruitori dei nuovi strumenti tecnologici siano le migliori possibili.

Bibliografia

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